Svegliarsi alle 3.00 per riuscire a partire alle 4.00 con lo shuttle destinato all’aeroporto di Cancun è stato traumatico. Avevamo sì le valigie pronte, ma il fatto di aver dormito poco per due giorni ci aveva tolto completamente tutta la calma e la tranquillità che eravamo riusciti ad accumulare durante il soggiorno al Playacar. Ovviamente il trasporto organizzato era addirittura arrivato prima delle 4.00 e ci siamo ritrovati a fare tutto ancora più concitatamente di quanto avevamo pianificato.
Dopo un’ora di viaggio eravamo di nuovo all’aeroporto Benito Juárez di Cancun. Dovevamo fare il check-in e poi attendere la chiamata per l’imbarco. Non avendo potuto fare colazione e non essendoci dei bar aperti mi sono accontentata di un po’ d’acqua e di uno snack al cioccolato. Il volo era previsto alle 8.00, sarebbe durato all’incirca 1 ora e 45 minuti ed era poco probabile che ci avrebbero servito la colazione a bordo.
Con un sorriso ci eravamo ricordati degli M&M’s comprati a New York e che abbiamo smaltito solo diversi giorni dopo il nostro arrivo all’Allegro Playacar. Avrebbero fatto comodo in quel momento, ma tutto sommato — dopo averne mangiati veramente molti — andava bene anche così. Intanto, dal finestrino vedevamo lo sterminato verde delle Everglades. Una strada in mezzo al nulla. E poi, tutt’a un tratto e segnato da confini netti, la presenza umana con costruzioni e campi coltivati.
Anche in Florida i pasti e il trasporto non erano inclusi. Lo era solo la notte in albergo (Ocean Five Hotel, 436 Ocean Dr, Miami Beach). Una volta atterrati dovevamo infatti farci portare fino a a destinazione, scaricare le valigie e pensare a cosa mangiare. A differenza di New York, la tratta si percorre in poco più di un quarto d’ora e prevede l’attraversamento del golfo di Byscaine. Miami Beach è infatti un’isola ed è, in pratica e anche amministrativamente, separata da Miami.
Giunti in albergo verso le 11:30AM avremmo dovuto aspettare di poter salire in camera fino a dopo pranzo. Ci siamo così decisi a cercare un posto dove andare a mangiare, lasciando le valigie alla reception. Il concierge dell’Ocean Five ci ha consigliato il Big Pink (all’incrocio tra la 2a strada e la Collins, 157 Collins Ave) a dieci minuti di distanza a piedi. Lì ci siamo concessi due Kobe Burger e due Big Pink Smoothie che ci hanno compensato colazione, pranzo e cena… in una sola volta!
Alle 12:45PM siamo stati accompagnati nella nostra stanza… Per fortuna dovevamo restarci solo per una notte, dato che si trattava di una vera e propria topaia, puzzolente e con vista sullo sfiato dell’aria condizionata del condominio. Avendo solo 24 ore a disposizione ci siamo subito organizzati per fare un giro in zona. Inizialmente volevamo fare il bagno, ma non avremmo avuto tempo poi per visitare il resto.
Così ci siamo indirizzati verso Sud lungo la Ocean Drive, con una deviazione per vedere da vicino la spiaggia e l’oceano. La maggior parte delle costruzioni sono piccoli condomini (quasi tutti adibiti ad alberghi, ristoranti o pensioni); poi ci sono i grandi residence, soprattutto superata l’area della celebre Nikki Beach. I grattacieli sono quasi tutti costruiti lungo la South Pointe Drive e rivolti verso Fisher Island.
Uno dei luoghi più suggestivi di Miami Beach è senz’altro il South Pointe Park Pier, un parco che comprende una camminata che si estende fino all’omonimo pontile. Da quel punto non può capitare altro che riaffiorare alla mente la canzone di Will Smith, Miami: gente in spiaggia, sole, mare, palme, yacht, auto sportive, appartamenti di lusso e cultura spanglish. Da quelle parti lo spagnolo, infatti, è la lingua più usata, sicuramente quasi più dell’americano.
Continuando la nostra camminata verso il molo, notavamo attraccate imbarcazioni che si vedono di solito solo nei film. Avevamo già percorso qualche chilometro e a distanza, oltre all’isola che funge da porto, vedevamo la skyline della downtown di Miami. Avremmo potuto continuare camminando fronte mare, ma giunti all’incrocio con la 5a street e la Alton Road, ci siamo decisi per ritornare verso Ocean Drive e proseguire verso Nord, curiosando in un qualche gift shop e soddisfare anche la voglia di un souvenir.
Nuovamente sulla Ocean, abbiamo tentato di percorrere il marciapiede lato ristoranti e alberghi, ma dovevamo sembrare decisamente dei turisti, dato che a ogni passo incrociavamo un “butta dentro” che ci invitava a sederci nel proprio locale. Dopo l’ennesimo invito, abbiamo pensato che forse era più saggio procedere sul lato opposto, accanto al Lummus Park. Man mano che risalivamo la strada sentivamo avvicinarsi la cassa della musica dance di una festa in spiaggia. Saremmo andati a curiosare più tardi, perché prima volevamo trovare il negozio d’abbigliamento.
Lo abbiamo infatti trovato poco dopo aver superato il Gianni’s (1116 Ocean Dr, l’ex villa di Gianni Versace, diventato ristorante). Un paio di acquisti ed eravamo di nuovo diretti a Sud. Nel frattempo la strada si era popolata di auto e moto “customizzate” che, almeno così ci sembrava, non facevano altro che fare su e giù per farsi notare. Dopo una breve sbirciatina al party sulla spiaggia ci era venuta voglia di bere qualcosa. Sarà stato anche il fatto che era una domenica pomeriggio e che stava imbrunendo, ma di posti dove potersi sedere non sembrava essercene più molti a disposizione.
Erano da poco passate le 5:00PM. Avevamo deciso per il Clevelander, principalmente perché aveva il terrazzo più grande e perché sembrava frequentato più da indigeni che da turisti. Nonostante fossimo davvero stanchi e ancora sazi dal pranzo, abbiamo ordinato dei cocktail. Si sappia che la margarita in quelle zone è solo e soltanto intesa al limone, la variante alla fragola (che da noi viene proposta e che è anche quella più gettonata) non viene nemmeno presa in considerazione.
Così eccoci serviti: il Caribbean Punch (tutto sommato potabile, ma carico di alcol all’inverosimile) e il Perfect Margarita (che a nostro avviso è finora stato il peggior cocktail della nostra esistenza; assolutamente disgustoso e pieno di sale come se fosse stato fatto direttamente con l’acqua di mare!). Oltre ai $33.75 per l’aperitivo più schifoso della storia, il tutto mi aveva fatto venire un mal di testa terribile, tanto che non avevo nemmeno più voglia di girare, ma solo di sdraiarmi nella nostra top…, ops stanza!
Sinceramente non avevamo più molta voglia di uscire. A pochi passi di distanza, sulla 5th St, c’era un Walgreen nel quale potevamo comprare dell’acqua (soprattutto quella aromatizzata al kiwi e fragole) e eventualmente qualcosa da mangiare, se non per la sera, almeno per fare colazione appena risvegliati il giorno successivo. Acquistato quanto pensavamo ci necessitava, siamo finalmente andati a dormire. Non prima di aver spalancato per bene la finestra per togliere l’odore di muffa, il quale, paragonato al rumore delle ventole del sistema di condizionamento, era decisamente insopportabile.